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Jul 13, 2023

Recensione 'Scarlet': Un padre e una figlia resistono

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La scelta della critica

Nel nuovo film del regista di “Martin Eden”, intermezzi pastorali sulla vita domestica all'indomani della prima guerra mondiale si alternano a visioni dell'aldilà.

Di Manohla Dargis

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Quando Raphaël, un uomo di grande spessore, si trascina nel film francese “Scarlet”, porta con sé un fardello insopportabile. La prima guerra mondiale è appena finita e, come altri combattenti, sta tornando a casa quasi distrutto. Quando arriva, scopre che sua moglie è morta, lasciandolo con una bambina, Juliette. Piange sua moglie, ma la ragazza diventa presto il suo sole e la sua luna, e col tempo la stella polare che porta questo pittoresco racconto da un'epoca storica a quella successiva.

“Scarlet” è la storia di un padre, di una figlia e dei diversi regni che li circondano come anelli concentrici: la loro piccola comunità, il vicino villaggio che si allontana da loro e, in lontananza, l’inevitabile mondo in rapido cambiamento delle città in forte espansione, Produzione di massa e rivoluzione sociale. Nel corso degli anni, ai nostri personaggi accadono cose gentili e gentili, ma anche vergogna, rifiuto e violenza. Persevereranno, fortificati dalla loro umanità, dal loro radicato senso del luogo e dalla forza duratura dei loro affetti.

Proprio come ha fatto in “Martin Eden”, il suo audace adattamento del romanzo di Jack London, il regista italiano Pietro Marcello ha tracciato ancora una volta un percorso narrativo atipico. “Scarlet” è basato su un romanzo, “Scarlet Sails”, dello scrittore russo Alexander Grin (o Green, a seconda della traduzione). Marcello, che ha scritto la sceneggiatura insieme ad altri tre, ha preso spunto dalla storia di Grin portandola in nuove direzioni. Eppure, come nel romanzo, un focus cruciale rimane il rapporto tra il padre, interpretato da uno straordinario Raphaël Thiéry, e la figlia, che nel corso del film è interpretata da quattro bambini e da un'adulta, Juliette Jouan.

“Scarlet” si apre con una nota sobria con quelli che sembrano filmati documentari colorati di scene del dopoguerra, sorprendenti immagini d'archivio accompagnate dal rintocco funebre delle campane che presto lascia il posto al tipo di sibili e crepitii che a volte si sentono nei vecchi film. Raphaël entra poco dopo, una figura solitaria in uniforme che zoppica attraverso un campo francese buio e desolato. In pochi secondi, si fa strada a passo pesante attraverso un villaggio e lungo un sentiero tagliato in una bella apertura in un bosco, il suo corpo retroilluminato dall'alba nascente. Sembra che stia entrando in scena, il che si addice a un personaggio sull'orlo di una nuova avventura.

La prima metà del film è in gran parte incentrata sulla vita che Raphaël fa con Juliette mentre lei cresce da moppet dai capelli ricci a una giovane adulta audace che è allo stesso tempo sognante e pragmatica. Incoraggiato da Adeline (una meravigliosa Noémie Lvovsky), una matriarca affettuosa e vigorosa che si è presa cura di Juliette dopo la morte di sua madre, Raphaël si è trasferito in un accogliente edificio in pietra, formando una comunità solidale con questa donna dalla mentalità indipendente e la piccola famiglia di un fabbro. Lì, nella luce del sole screziata e talvolta nell'ombra, Raphaël alleva Juliette, lavora per un costruttore navale e in seguito si guadagna una vita miserabile scolpendo giocattoli da scarti di legno.

Queste scene naturalistiche scorrono magnificamente. Marcello alterna regolarmente intermezzi della vita pastorale di Raffaello e Giulietta e visioni dell'aldilà. Gli abitanti del villaggio sono un po' freddi e a volte poco accoglienti – c'è ferocia e mistero in agguato nelle tende – ma Marcello non è molto interessato ai dettagli di questo attrito. È più in sintonia con i gesti, i volti alla Daumier, la brezza tra gli alberi, la coreografia dei corpi e i tanti dettagli strutturati e apparentemente modesti che compongono una vita. Raphaël trova pace e calore in questo angolo bucolico, e anche qui Marcello si sente a suo agio e a casa.

Una delle attrattive di “Scarlet” è che non rientra in una categorizzazione ovvia, il che significa che non sei sempre sicuro di dove sia diretto o perché. L'atmosfera è di volta in volta sobria, calda, malinconica e giocosa fino al punto di essere quasi sciocca. Potresti ridere e piangere, come ci promettono sempre i film, ma potresti anche grattarti la testa con aria interrogativa. Ci sono scene di accordo comunitario e altre di brutalità provinciale. In una sezione, un personaggio canta mentre nuota e va alla deriva come una sirena solo per poi leggere un brano di una poesia anarchica. In un altro punto, un avventuroso sconosciuto (Louis Garrel) piomba su un aereo, scatenando il romanticismo.

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